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Ti trovi qui: Home / Coaching / Sono uno spazio sospeso tra l’acqua e il cielo

Sono uno spazio sospeso tra l’acqua e il cielo

Stamattina, leggendo qualche #notizia, mi sono imbattuta in questo articolo: 

“Netturbini aprono la Biblioteca dei libri abbandonati e salvati dalla spazzatura“ 

E’ la storia della #biblioteca di #Ankara fatta nascere in una ex fabbrica di mattoni, grazie all’idea dei netturbini turchi, di dare una nuova vita ai libri trovati per strada, salvandoli dalla discarica. 

Non mi ha colpito in modo particolare la notizia, ormai se ne sentono varie in giro di questo genere, ma ha stimolato in me un pensiero, latente da tempo (ma neanche troppo!): io e la mia generazione siamo come lo spazio sospeso tra l’acqua e il cielo, tra la generazione dei nostri genitori, fatta di terra, di quotidianità e concretezza e quella dei nostri (ipotetici) figli, testimoni di un’era ‘fluttuante’, dell’intangibile e dell’inevitabilmente “tutto veloce”. E’ un piccolo passaggio generazione tra papà ‘analogico’ e figlio ‘digitale’: gli spaesati siamo noi, noi che sempre più spesso facciamo fatica ad accettare che dei libri vengano buttati via nell’immondizia; noi che rimaniamo basiti di fronte alla carenza sempre più forte, nei giovani, di un pensiero critico; noi che siamo stati la generazione del #fare e ci troviamo tutti i giorni a confrontarci con la #generazione dell’apparire; noi che per poco rientriamo nella generazione #xennials. 

Ecco che il DIALOGO INTERGENERAZIONALE si fa grave, articolato a volte incomprensibile. 

Nonostante tutto siamo la generazione più adatta(bile) ai #cambiamenti,  la #gioventù ibrida, quella cresciuta in un mondo ancora #analogico prima di affacciarsi all’età adulta, dove ha scoperto #internet e imparato a usare le #tecnologie digitali. La testimonianza e il simbolo vivente dell’#adattamento dell’#uomo al più grande cambiamento #sociale, #economico e #culturale della storia dai tempi della guerra, facendo da ponte a due epoche ben distinte. 

Scrive Sarah Stankorb, nata nel 1980: 

Le nostre subculture adolescenti erano ancora organiche e intime e non immediatamente cooptate come opportunità di fare soldi. Siamo atterrati in un luogo ancora dolce prima che la recessione affliggesse il lancio dei millennial. Eravamo abbastanza giovani quando il mercato si è schiantato, non avevamo investito molto e non abbiamo perso tanti risparmi o le pensioni, a differenza di molti della generazione X. Abbiamo avuto la possibilità di ottenere posti di lavoro e andare al college da giovani adulti, trovare impieghi seri, mollarli e ottenerne altri. 

Chiaro che, come tutte le generazioni a cavallo di qualcosa, alla fine non ti senti né l’uno né l’altro, vivi sulla tua pelle questa costante ambiguità, ed è dal punto di vista creativo una situazione sommamente interessante e proficua perché ti permette di essere spaesato e al contempo anche a tuo agio. Insomma, siamo mimetici, e in un mondo in cui saltassero tutti i cloud, sapremmo farcene una ragione perché nella nostra casa custodiamo ancora tracce della vita precedente (come soldi in contanti, libri di carta, fotografie stampate, lettere di vecchie fidanzate/i scritte a mano, lettori di cd). 

Tra i tanti vantaggi della vita da Xennial, c’è anche una certa scaltrezza, o quantomeno una base di incredulità: ci si difende meglio dalle fake news, perché una volta c’erano già e si chiamavano leggende metropolitane, sono una costante della vita umana: questo lo Xennial lo sa e per principio coltiva un certo scetticismo (CAMILLA BARESANI). 

Ma soprattutto lo Xennial è l’ultimo dei testimoni.

Archiviato in:Coaching, Orientamento, Sviluppo personale

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