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Lo sguardo

Leggevo stamattina queste ‘semplici’ parole di Andrea Giuliodori, di Efficacemente e, come ogni lunedì mattina, la mia mente viene costantemente ‘lanciata’ in un mondo parallelo di autoriflessione.

Giulio scrive:

“Il problema dei professionisti, ad un certo punto della propria carriera, è che diventano “ciechi” di fronte agli aspetti più banali che notavano subito da novellini. È un po’ quello che accade con alcuni acclamati critici d’arte, che perdono il gusto di assaporare la bellezza di un dipinto, troppo concentrati sugli aspetti tecnici dell’opera.

Questo in realtà accade a tutti noi: quando ci iper-specializziamo, rischiamo di perdere “l’innocenza” del primo sguardo, la semplicità della visione d’insieme, e così ci lasciamo scappare dettagli banali, ma spesso fondamentali per la risoluzione di un problema. Insomma, ci convinciamo che serva sempre una soluzione complessa che possa giustificare il bagaglio di conoscenze che abbiamo accumulato negli anni”.

Spesso mi sono trovata a riflettere su questo tema dell’iper-specializzazione soprattutto nel processo di consulenza, che per me va sempre a ‘braccetto’ con gli obiettivi personali del consulente stesso, per terminare nell’analisi e auto-analisi della nostra motivazione , che costantemente ci dirige nelle nostre scelte professionali e di conseguenza delle aspettative che riponiamo in una scelta piuttosto che un’altra.

Vroom (1964), nella sua Teoria delle Aspettative, ha evidenziato come la forza della motivazione dipende dal rapporto di tipo moltiplicativo tra i fattori di Valenza (attrattiva della ricompensa), Aspettativa (quanto l’individuo ritiene probabile che le proprie azioni permettano di raggiungere un obiettivo) e Strumentalità (possibilità che il raggiungimento dell’obiettivo consenta di ottenere la ricompensa).

Ancora più interessante come Adams (1965), invece, indichi come principale variabile, che agisce nella regolazione del processo motivazionale, l’Equità percepita dalla Persona sia a livello interno, nel confronto tra risultato ottenuto e contributo apportato, sia a livello esterno, nel confronto con colleghi.

Tutto ciò viene alla luce chiaramente quando ci si trova ad affrontare un processo consulenziale impegnativo e disteso nel tempo, dove la capacità dell’imprenditore di prendere coscienza e consapevolezza del proprio dovere di azione rispetto ai propri dipendenti e/o processi e il fattore tempo diventano i cardini fondamentali di una relazione professionale basata sulla fiducia.

Erogare consulenza alle #aziende prevede la necessità di partire da un pre-requisito, ossia che l’imprenditore sia conscio di aver bisogno di dotarsi di #conoscenza. Passaggio che personalmente non considero da poco, perché capita che dicano di aver bisogno di conoscenza ma non ne abbiano la pura #consapevolezza.

L’ #imprenditore può essere nella condizione di percepire sintomi disfunzionali nella propria attività ma al contempo non essere in possesso di capacità auto diagnostiche: discutere e disporre di un parere terzo da parte di un soggetto indipendente sicuramente può aiutarlo in questo processo di presa di coscienza. Ora quanto tempo impieghi un #titolare nel fare tale passaggio e acquisire la consapevolezza di dover risolvere “da solo” il problema (e arrivare a risolverlo) – avverrà dopo un lungo percorso fatto di #condivisione, #confronto e di #motivazione.

Ecco qua allora che – lo credo fermamente – “l’innocenza” del primo sguardo possa esserci di aiuto, in tale processo professionale, a non ossessionarci al raggiungimento immediato di un obiettivo, senza per questo sentirci meno professionali o meno preparati ma a ridare valore nelle valenze e aspettative che ci hanno portato a quella relazione di fiducia.

Archiviato in:Coaching, Consulenza aziendale, Processi organizzativi, Sviluppo aziendale

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